Il nostro collettivo

Una giornata per imparare, approfondire, conoscere, divertirsi, fare squadra. Siamo partiti con questi obiettivi un lunedì di primavera. Una giornata trascorsa lontano dai nostri ristoranti, Feva e Zanze XVI, lasciati a Venezia e da Castelfranco per salire verso le montagne, le prime dolomiti. Fuochi spenti, serrande abbassate, menti in movimento. Un programma fitto ci attendeva

Prima tappa nelle valli di Seren del Grappa. Località Porcen. Abbiamo raggiuntino il vivaio di Tiziano Fantinel, il Ruscello. Tiziano si dedica soprattutto alla coltivazione di piante ottenute da semente antica e riproducibile. Semi vitali, non manipolati, per mantenere attive varietà altrimenti perdute di frutti, cereali, legumi, erbe aromatiche. Un archivio della biodiversità in continuo assortimento. Un’opera costante di catalogazione, messa in produzione, salvataggio di diverse tipologie di mais, grano, piselli, fagioli, pomodori e molto altro ancora.

“Far vivere la biodiversità, fornire cibo sano, prodotti sani e condividere semi, conoscenze, saperi ed entusiasmo. Questi sono i miei obiettivi”.

Per la cura delle piante utilizza rimedi naturali, come ad esempio i macerati di equiseto ed ortica, ed ogni operazione di semina, trapianto, ripicchettatura, annaffiatura è gestita manualmente e con tecniche sperimentali, come ad esempio la pietra di basalto per convogliare l’energia del terreno o l’acqua carica di elettroliti che aiuta lo sviluppo della pianta. Il suo obbiettivo è quello di portare le piante a seme per l’anno successivo creando così un patrimonio, costante, d’inestimabile valore. Un’altra attività cruciale che svolge Tiziano è “la chiamata al raccolto” si tratta di una giornata di condivisione tra lui e gli altri seed savers, che potremmo definire come i custodi della biodiversità, dove avviene uno scambio di semi ormai in disuso in quanto non presenti nei cataloghi stilati dall’Unione Europea e dalle multinazionali del settore. Questa giornata ne permette la condivisione di questi semi invendibili ormai dimenticati da molti e della loro storia, rendendo così Tiziano un eroe gastronomico in simbiosi totale con la natura, e non solo, come testimoniano le attività di didattica per le scuole che visitano la sua azienda.

Seconda tappa a Feltre, ospiti di Nicola Coppe nel suo laboratorio, cucina, fabbrica creativa sempre in fermento. Avevamo già scoperto e proposto la sua linea Riso Sake, la prima sake brewery italiana che utilizza riso carnaroli. Adesso la gamma di bevande si è ampliata e allargata introducendo nuovi prodotti. Ci ha accompagnato in una degustazione di succhi fermentati, un’altra novità per il panorama italiano.

“L’idea di base è di unire il gusto della frutta alla fermentazione alcolica per creare un “succo di frutta per adulti. Quindi nessuna purea congelata, nessun aroma di sintesi, nessun concentrato e nessun additivo chimico ma spezie, fiori e vera frutta”.

Marasche, albicocche, sambuco, uva fragola, ribes, pesca bianca, sambuco per la creazione dello “Sampagne”… sono alcune delle alternative, che abbiamo scoperto e assaggiato, ognuna capace di sviluppare contrasti e sensazioni differenti, profonde: ciò è dovuto ad un sapiente uso dei lieviti ed infatti Nicola si definisce un “addomesticatore di lievitigrazie ai suoi studi da tecnologo alimentare.

L’audacia e l’energia creativa di Nicola sono un esempio. Pur rispettando il tradizionale processo di fermentazione mediante koji (lo stesso che utilizziamo nei nostri ristoranti per la maturazione della carne) previsto nella produzione del nihonshu, nel suo laboratorio Nicola prova a dare vita ad un’espressione di “sake in stile italiano” cercando punti di contatto con il territorio, a partire dalla materia prima. Il riso carnaroli infatti è prodotto della provincia pavese e viene sfruttato e valorizzato in ogni passaggio durante il processo di trasformazione.

Tappa degna di nota nella valle di Seren presso l’agriturismo Albero degli Alberi dove una coraggiosa famiglia coltiva 7 varietà antiche e locali di fagioli, oltre a produrre materie prime per il loro autentico agriturismo. Le varietà che utilizziamo nei nostri piatti: “Laguna e Legumi” a Feva e la “Cassopipa in latta” a Zanze XVI.

Per una volta un collettivo di due brigate e due team di sala, chef e maitre, cuochi e sommelier, sedute attorno allo stesso tavolo. Non succede spesso, e quando succede bisogna celebrarlo. Per l’ultimo brindisi della giornata siamo saliti in casera sul Grappa di Filippo Bano, cultore del mangiar sano ed esploratore di piccoli produttori unici. Lontano dai segnali dei cellulari, senza campo, senza rete. Un brindisi per noi, il nostro lavoro, per quello che facciamo ogni giorno, un’occasione di contatto e di immersione con la natura, isolandoci dalla vita frenetica dei ristoranti. Le esperienze e le conoscenze che ci hanno trasmesso queste persone e il loro lavoro seguendo i ritmi della natura e l’attenzione a quello che ci circonda è quello che più ci è rimasto e che proveremo a portare quotidianamente dentro i nostri ristoranti.

Il gioco dell’oca

Il gioco dell’oca è un piatto immancabile della cucina invernale del Feva da oltre dieci anni. È stato proposto per la prima volta a novembre 2012 e ogni anno è tornato sempre con grande successo. Unisce territorio, tradizione, innovazione, cultura, storia, sostenibilità, piacere della tavola, scoperta, sorpresa, creatività: valori che ci piace trasmettere con la nostra cucina.

In questi undici anni e undici inverni, alcune cose rimaste identiche. Altri aspetti sono stati perfezionati, migliorati, sistemati e quest’anno ha trovato forma definitiva, un ciclo perfetto tra tecniche di cucina, cultura gastronomica, idea culinaria, rappresentazione estetica.

Tra i punti fermi, il principale, è l’oca di Mondragon, di razza bianca romagnola pesante. Mondragon è una località nelle alte colline trevigiane tra Soligo e Tarzo, dove resiste un allevamento a pascolo semibrando che preserva una tradizione secolare che rischiava d’essere perduta. Se ora le oche non sono più considerate animali da fattoria, una volta erano immancabili nei cortili delle case di campagna venete.

Come un tempo, a Mondragon le oche sono allevate in condizioni di piena naturalità e, giunte a maturità, offrono carni fresche particolarmente pregiate. E proprio come avveniva un tempo, con questo piatto al Feva valorizziamo ogni parte dell’animale. Quella che oggi chiameremo sostenibilità, una volta era necessità e ricchezza da non sprecare.

Così portiamo a tavola cinque assaggi diversi, accompagnati da quattro salse, che in successione accompagnano in un gioco gastronomico che coinvolgente gusto, ricordi, emozioni da percorrere a tappe.

La prima è il petto, passato in casseruola e infine leggermente affumicato al kamado. Il secondo passo è il suo completamento, il filetto, marinato e infilzato in uno spiedino di alloro. La terza tappa è il fegato, marinato per una notte con grappa, brandy, noce moscata e infine cotto a bassa temperatura. Con le ali e cosce cotte confit a 90/95 gradi realizziamo una pastiglia per creare un involtino di pasta croccante. L’ultimo passo è il collo dell’oca farcito delle sue rigaglie, castagne e salame.

Viene servito al tavolo con un paio di dadi edibili, per richiamare il senso del gioco, della scoperta, del piacere della convivialità.

Completano gli assaggi quattro salse: ai tartufi neri del Perigord; ai frutti rossi; una salsa asiatica con spezie, succo di zenzero, lime e aceto di riso e infine una classica salsa verde.

Il Gioco dell’Oca sarà presente nelle tavole del Feva fino a marzo. Quest’anno inoltre abbiamo aggiunto un ulteriore tassello. Un piatto di ceramica ideato e realizzato da Punto Soave, per unire insieme tutti gli elementi, richiamare il tabellone del gioco e accompagnare l’ospite all’assaggio.

Foto: @1995.productions

C’era una volta la ristorazione italiana

Diciamocelo in faccia, oramai il settore della ristorazione è in crisi.


È inutile nascondersi dietro ad un dito, ma mai come ora, lavorare in questo settore è diventato così difficile e, salvo qualche raro caso, il futuro non sarà così roseo, anzi, se non verrà supportato seriamente dalle istituzioni, tale comparto farà un balzo indietro di quaranta anni, restando nettamente fuori passo rispetto ad altre nazioni, magari non storicamente vocate alla cultura del cibo ma con uno stato presente e consapevole che l’indotto turistico enogastronomico e agroalimentare va protetto e sostenuto, partendo appunto dal welfare.


Possiamo andare avanti e fare finta di niente, continuare a dimostrarci forti, di marmo, sempre con il sorriso, rassicurando tutti che va tutto bene e nascondendo al tempo stesso le mille chat tra associazioni e colleghi che sembrano essere diventati dei centri di collocamento. Oppure possiamo fare emergere il problema a livello pubblico e chiedere a chiunque possa rappresentare a livello istituzionale il nostro settore, associazioni di categoria comprese, di interloquire con le cariche di stato in grado di affrontare questo problema.

Si perché è un problema.

Il collega Alessandro Borghese, sottoscritto anche da altri imprenditori (tra cui Flavio Briatore) e da altri colleghi anche stellati Michelin, ha esposto i fatti su come la stiamo vivendo noi ristoratori, mettendo in luce questa crisi globale. Due anni di Covid non hanno solo messo in difficoltà per primo il nostro settore, non ci ha messo duramente alla prova resistendo e reinventandoci per sopravvivere, ma ha fatto esplodere quella che era la bolla gonfiata a dovere negli anni pre pandemia dai mille programmi televisivi “Star Chef pret a porter”.

Assaporare una vita normale nei mesi di chiusure forzate ha destabilizzato fortemente chi fino a prima aveva investito la propria carriera nella ristorazione, il reddito di cittadinanza o altre forme di sussidio e assistenzialismo non hanno di certo aiutato la ripartenza. Improvvisamente tutti coloro che fino a inizio 2020 lavoravano in sala e in cucina si sono volatilizzati, alla ricerca di un impiego migliore con orari compatibili con una vita “normale” o addirittura cambiato completamente mestiere. 

Finalmente è emerso il vero problema della ristorazione tenuto nascosto da sempre, vita completamente dedita al lavoro, zero rapporti sociali. Inizialmente perché bisogna imparare un mestiere e la gavetta in cucina si sa è tra le più dure fisicamente e psicologicamente, poi perché se dovessimo calcolare l’effettivo costo di un piatto includendo tasse, tredicesime, quattordicesime, ferie pagate di tutte le persone che ci lavorano oltre a tutto il resto, sicuramente i quindici euro della cacio e pepe servita in ristorante si farebbe prima a regalarla. Oppure l’euro e venti del caffè al bar potrebbe tranquillamente essere offerto tanto è ridicolo l’ammontare dei costi per tenere in piedi un locale di chi vuole solo lavorare bene e fare felice la gente attraverso il cibo o il beverage.  E il lavoro, nonostante tutto, non manca, anzi è aumentato.


Ma da sempre, dare una vita lavorativa e sociale dignitosa non ha mai trovato spazio nella ristorazione, e più si sale di livello e più è sempre stato tutto così disumano. Contratti di lavoro precari, incertezze di stabilità. Perché gli chef o i titolari sono dei sadici? Perché a chi gestisce la baracca piace vedere soffrire i propri dipendenti ed essere orgogliosi della vita altrui dedicata al proprio ristorante? No, semplicemente perché non può permettersi i costi di una doppia brigata di sala e di cucina per poter dare a tutti le famose otto ore, altrimenti, siamo sinceri, quanto vi costerebbe un piatto di pasta? Improponibile per tutti! E se lo stato non interviene seriamente non ci sono molte alternative.


Una volta aperto il vaso di pandora ci si è scoperti fragili. Dall’altra parte non ci è voluto molto per rendersi conto che tutto è cambiato velocemente. Come se in una stanza, in un batter d’occhio ci si ritrova da mille a dieci persone, facendo sembrare quei quattro muri vuoti. I pochi rimasti ovviamente prima competono, poi si uniscono per far capire a tutti che il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro, vengono abbagliati da alettanti promesse, magari da posizioni ambiziose ma poi mai mantenute, o da qualche centinaio di euro in più che purtroppo non porta da nessuna parte, anzi mette i ristoratori uno contro l’altro per rubarsi l’un l’altro qualcuno di quei dieci rinchiusi in quella stanza. Quando in questi ultimi anni, stavamo andando così bene, diventando quasi amici tra ristoratori. Stavamo diventando fieri di essere cuochi, chef , sommelier, camerieri, maitre di sala. Iniziavamo tutti a fare squadra.


Ebbene si, queste crisi servono proprio a questo, forse a resettare e a gettare le basi per qualcosa di veramente solido, strutturato e condiviso. Possiamo parlare di fattore umano quanto vogliamo, possiamo parlare di progettualità, di carriera, di lavorare per il curriculum, di mille modi per rendere la vita delle persone che lavorano in cucina e in sala il luogo ideale dove dedicare qualche anno della propria vita diventando magari parte fondamentale del team.


Ma poi, se regna la regola del tutto e subito e non c’è più la voglia di darsi del tempo, la moneta più preziosa, per costruirsi una figura all’interno dell’azienda, o ancora peggio mandare il curruculum a caso alla ricerca di non si sa che cosa, e tu titolare non hai i mezzi per sostenere questa incalzante follia, a qualche compromesso bisogna pure arrivare. Altrimenti, semplicemente, ne trarranno vantaggio grandi compagnie, grandi hotel, grandi fondi d’investimento, grandi case storiche, facendo soffocare lentamente tutta quella ristorazione vibrante “homemade” che ha reso interessante mangiare in Italia negli ultimi vent’anni e che ha portato in auge la gastronomia italiana nel mondo.


La colpa non è di quei dieci rimasti nella stanza, è naturale istinto all’opportunità.
Il problema è che tali scelte affrettate non portano da nessuna parte, non si costruisce nulla, la bussola è persa. Al grido di “Troverò sempre qualcuno che mi offrirà qualcosa in più” si droga all’inverosimile il sistema. Così non si rigenera l’animo, lo si logora. 

Avessero detto a quelli della mia generazione, magari già in quinta all’istituto alberghiero “Lavorerai 4 giorni e mezzo alla settimana, otto ore al giorno, per tre milioni di lire (1500€) da subito, appena uscito da scuola” credo che le iscrizioni sarebbero aumentate esponenzialmente facendo diventare il mestiere del cuoco il nuovo modello di carriera da imitare. Altro che avvocato o dottore. “Vai a fare il cuoco che guadagni bene la tua vita, da subito.”


In realtà, negli anni novanta, fare il cuoco era un po’ visto come essere l’ultima ruota del carro, alla pari del manovale, per arrivare ad ambire ad essere chef di cucina, di quelli che si leggevano nei libri ed avere uno stipendio decente ne dovevi spalare ed ingoiare. Sei su sette e quindici ore filate, se ti andava bene.


Anche perché se non hai l’esperienza per fare l’artigiano, perché non dimentichiamo che siamo degli artigiani per primo e commerciali poi, puoi chiedere tutti i soldi che vuoi sulla carta, avanzare proposte folli ma poi se i numeri non ci sono, sarà proprio quel castello di carta a crollare su di te. 

Allora perché con questo nuovo cambiamento post pandemia verso una nuova umanizzazione del nostro settore per la prima volta gli istituti alberghieri statali e privati segnalalo cali drastici nelle iscrizioni arrivando addirittura a chiudere dei corsi e dimezzare le classi? 

Che cosa non funziona ancora? Che cosa hanno capito le nuove generazioni?
Che fare il cuoco o il cameriere comporta sacrificio, dedizione, umiltà, rispetto, lavorare quando gli altri si divertono?
Che le ambizioni non vanno d’accordo con le lancette dell’orologio, a prescindere? 

O stanno sparendo anche le ambizioni?
O forse stanno solo dirottando verso altri settori, più socialmente compatibili con la vita? 

Vero è che, in qualsiasi settore, se si vuole fare carriera bisogna lavorare sodo, non bastano di certo le settimane da quaranta ore. E più si sale di livello, più si lavora per amore del proprio lavoro. Non è un gran stile di vita certamente ma dipende tutto da come si vuole disegnare il proprio futuro. L’iter professionalizzante per una carriera importante nel nostro settore non ha mai coinciso sempre con vita sociale.

Per questo lo Stato deve intervenire seriamente, defiscalizzando dove possibile, incentivando così le aziende ad offrire opportunità di carriera certe e programmate, stipendi e orari in linea con gli altri paesi europei. Solo così si eviterà di dover far pagare il prezzo ad ogni singolo cliente di tutto questo sistema drogato, oltre che dall’inflazione, da un inevitabile adeguamento dei canoni europei più virtuosi di welfare aziendale. 

Basta guardare ad esempio in Francia o i paesi nordici cosa offrono loro a pari posizioni e cosa offriamo noi. Lo Stato è intervenuto, ha capito il problema. Sta salvaguardando l’indotto turistico enogastronomico. 

Può essere la svolta della ristorazione per dare dignità a tutti coloro che ci lavorano tutelando ogni singolo aspetto di un rapporto di lavoro sano, sereno e stimolante. Ma lo Stato deve esserci, aiutarci. 

Altrimenti, nei prossimi anni, per cercare di abbattere i costi si ritornerà alle aziende strettamente familiari, che resteranno sinonimo di costanza e garanzia nel tempo, ma difficilmente in grado di sostenere un settore che ha bisogno di struttura, competenze, innovazione e sviluppo per poter competere in un mondo che cambia continuamente alla velocità della luce e di cui noi abbiamo la fortuna di custodire una porzione così grande e così preziosa del nostro “Made in italy” 

Nicola Dinato

I Concerti del Tè

 

I concerti del tè: musica e arte dolce colorano il pomeriggio di CuSvi

 

Tribsterill Trio

 

–  Tribsterill Trio –

 

CuSvi

 

– Sala Convegni. I concerti del tè –

Enrico Tedesco

 

  – Il Pasticcere Enrico Tedesco si racconta –

 

Versione 2

 

 

i concerti del tè

 

– Degustazione di tè: erba Luigia, citronella, Earl Grey e tè indiano –

 

Enrico Tedesco

 

– Frollino al burro, mousse di fava tonka, cremoso al cioccolato al latte e bavarese al tè Earl Grey –

 

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Indovina chi viene a cena? (Rassegna Cinematografica)

Evento Cusvi

Indovina chi viene a cena? è una rassegna cinematografica ideata dall’associazione no profit CuSvi con lo scopo di avvicinare il pubblico al mondo della cucina, della gastronomia e della ristorazione. Non a caso i titoli selezionati costituiranno le portate di un succoso menu che si aprirà con il benvenuto dello chef, proseguirà con gli antipasti, per poi passare ai primi e secondi piatti e concludersi con il dessert.

 

La programmazione inizierà giovedì 28 aprile alle ore 21.30 con Miseria e Nobiltà di Mario Mattoli, dove non sono di certo manicaretti e pietanze elaborate a farla da padroni ma, al contrario, la fame e la povertà. Il benvenuto dello chef proporrà di seguito due documentari che si collocano, per contenuti, agli antipodi rispetto alla prima proiezione. Si tratta de El Bulli, l’últim vals, un mediometraggio di Vicenç Asensio che rivela allo spettatore l’ultimo servizio del ristorante del celebratissimo Ferran Adrià (lunedì 16 maggio, ore 21.30), e di Noma, My Perfect Storm di Pierre Deschamps (lunedì 23 maggio ore 21.30).

 

Tre gli antipasti previsti: La cena di Ettore Scola (giovedì 19 maggio ore 21.30), Il pranzo di Babette di Gabriel Axel e Mangiare, bere, uomo, donna di Ang Lee. Un trittico di opere cinematografiche che pone l’attenzione sulla funzione sociale del cibo. Quando familiari, amici, conoscenti, uomini d’affari si riuniscono attorno a un tavolo per consumare un pasto, non stanno banalmente mangiando per riempirsi la pancia. Attraverso conversazioni, scambi d’opinione, discussioni, il pubblico arriva infatti a percepire il background storico, politico e culturale, nonché i particolari più intimi della sfera privata di ogni commensale, che non è più soltanto tale, ma finisce per rappresentare la condizione umana.

 

Anche nella lista dei primi piatti, come per la serie di antipasti, la provenienza geografica dei lavori selezionati differisce notevolmente. Scelta non casuale questa, perché la cucina è confronto tra diverse culture. Titolo d’apertura sarà il cartone animato della Pixar Ratatouille di Brad Bird e Jan Pinkava (giovedì 9 giugno ore 21.30), seguito da Soul Kitchen di Fatih Akin, Il sapore del successo di John Wells e Tampopo del giapponese Jûzô Itami. Quattro film che tenteranno di svelare le storie di chi opera “al di là della barricata” e di immortalare le gioie, ma pure i dolori, di coloro che dedicano la propria esistenza alla ristorazione. Una lotta quotidiana per conciliare la vita privata con una professione a prova di nervi d’acciaio.

 

Tra i secondi piatti figura un tris di documentari di registi americani: Mondovino di Jonathan Nossiter, oltre a due produzioni (guarda caso “made in USA”?) che affrontano la piaga sociale del cibo spazzatura: Super Size Me di Morgan Spurlock e il meno noto Food Inc di Robert Kenner.

 

Per dessert lo chef consiglia invece un “assaggio di grottesco”. Quasi scontata dunque la presenza de La grande abbuffata di Marco Ferreri e di Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro. Irrinunciabile l’ultimo appuntamento con il granguignolesco Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante di Peter Greenway.

 

Le proiezioni avranno luogo presso il circolo culturale CuSvi, in Borgo Treviso 60 a Castelfranco Veneto (TV). Dopo la pausa estiva, la rassegna riprenderà a settembre con date da definirsi.

 

Buona visione!

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Inaugurazione Cu.Svi

Cusvi è un’associazione no profit che vuole rivoluzionare il concetto di gastronomia come è stato inteso finora. È un grande paniere dove operano varie discipline nell’ottica dell’Innovazione e della conservazione del sapere enogastronomico e agroalimentare. Un laboratorio di ricerca e sviluppo del food, un circolo culturale per la divulgazione dei contenuti, un co-working per connettere i pensieri della cucina italiana attraverso un manifesto: Cucina Madre.

 

 

PRINCIPIO 1 – Dare e Avere
Dare e avere reciprocamente senza preconcetti su chi fa o da di più o di meno. Gli obbiettivi dei progetti dovranno essere il fine dell’associazione. Ognuno darà ciò che si sentirà e avrà la possibilità di dare, osservando i principi nel loro rispetto e nel rispetto degli altri. Ognuno potrà godere dei frutti dell’associazione a prescindere da cosa e quanto avrà dato, nella sola condizione che abbia mantenuto un atteggiamento di rispetto e di applicazione dei principi fondanti.

 

 

La parola d’ordine? SINERGIA
Una passione comune per il settore agroalimentare. La voglia di cambiare e far conoscere all’estero l’eccellenza gastronomica Italiana.

Una volontà continua di conoscere e stringere relazioni con aziende che vogliano intraprendere questo percorso insieme a noi, uno scambio continuo di conoscenza in un ambiente giovane e d’eccellenza.

 

Un ringraziamento specifico a due aziende che ci sostengono in diverse nostre iniziative e che hanno contribuito al buffet dell’evento con i loro straordinari prodotti.

32 Via dei Birrai Troticoltura Santa Cristina | Prosecco Fasol e Menin

 

Hanno scritto di noi sul sito di Identità Golose.