2020-21 Gli anni della pandemia and The Great Restaurant Business Swindle

A gennaio 2020 girava questa notizia di sottofondo di una epidemia che stava colpendo una parte remota della Cina. 

Per la prima volta si sentiva parlare di questo virus che colpiva sopratutto l’apparato respiratorio.

Ma era molto lontano e non suscitava abbastanza interesse per sovrastare la lite di Morgan e Bugo a Sanremo.

Solo un leggero sguardo a una coppia di turisti cinesi che avevano viaggiato in lungo e in largo l’Italia trovati con dei sintomi a Roma, forse una coppia di kamikaze.

Poi, come un fulmine a cel sereno, furono individuati in provincia di Padova due anziani signori positivi a questo nuovo coronavirus.

Panico generale. Il Covid 19, questo è il nome che gli è stato dato, ce l’avevamo in casa.

Il primo campanello d’allarme fu l’annullamento del carnevale di Venezia. Si, esatto, qualcosa di mai visto prima. Poi vennero chiuse tutte le scuole per ogni ordine di età e grado. 

E già li, i vecchi che avevano visto la guerra cominciavano a preoccuparsi. 

Tutto il mondo ci guardava come i primi appestati europei, inconsapevoli che il virus già circolava ovunque ma nessuno se n’era ancora reso conto. I famosi “meriti” della globalizzazione.

Ma noi eravamo i primi ad essere travolti del mondo occidentale.

Da li a poco, la vita come la conoscevamo prima, sarebbe sparita.

Da domenica 8 marzo zona rossa Lombardia, provincia di Treviso, Padova e Venezia, non si può entrare ne uscire, previsto l’arresto fino a 3 mesi.

Se mi avessero detto di essere dentro a un film tipo “Resident Evil” ci avrei creduto, ma la realtà era stampata nei volti dei miei ragazzi. Nicola voleva scappare in macchina quel sabato notte per tornare in Sardegna. Riccardo e la sua ragazza ritornare in Francia e gli altri ragazzi uscire dalla provincia pur di evitare di restare intrappolati nella zona rossa. 

Quell’ultima festa in ristorante per il solenne saluto con i ragazzi, rimarrà impressa nella memoria come l’ultimo momento del vecchio mondo o perlomeno di come lo conoscevamo prima del covid.

Poi, il buonsenso prevalse in tutti e svolgemmo l’ultimo servizio di pranzo dell’8 marzo 2020, festa della Donna. Seguirono le pulizie profonde di rito e un saluto sofferto, come dire “Ciao, chissà quando ci rivedremo, chissà che cosa ci aspetterà adesso” Un ultimo sguardo alla cucina lustra e silenziosa, anch’essa cupa, calata nel dramma. Poi nel viaggio di ritorno, ogni tipo di ipotesi di complotto mi saliva in testa, qualsiasi trama di un film di fantascienza poteva diventare vera visto che era una situazione mai vissuta prima.

Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa di noi visto che eravamo rinchiusi in gabbia. Una sensazione nuova, di impotenza e sottile panico. Dove possiamo scappare? Dove possiamo nasconderci?

Paura dell’ignoto.

Ma in realtà, la fuga verso le destinazioni di origine era già scattata in tutta Italia e quel terrore di essere delle cavie da laboratorio avrebbe lasciato posto al “comportiamoci bene oggi per essere liberi domani” del primo lockdown nazionale, anche se quella visione orwelliana non mi avrebbe mai abbandonato.

Uscire di casa solo per fare prendere aria al cane, al gatto o al pappagallo.

Vietata ogni forma di socializzazione, abbracci, contatti fisici.

Protezione con mascherine, igienizzanti e distanziamento sociale. Forse, queste ultime due, le parole più pesanti in assoluto.

Assalto ai supermercati e scene apocalittiche tra razzie di carta igienica, penne rigate e sguardi terrorizzati.

Ognuno di noi avrà nella memoria delle immagini forti di quei giorni e una grande storia da raccontare.

Poi un breve assaggio di libertà estiva, a pieni polmoni, braccia aperte e sole in faccia. Come essere tornato alle vacanze estive delle superiori e quella voglia di evasione, spensieratezza e della noncuranza di che cosa sarebbe accaduto domani, perché il domani non volevamo proprio affrontarlo.

Quel lungo inverno davanti ci faceva ancora paura.

Il resto è ancora storia di una pandemia che ha portato via molto di noi civiltà evoluta, affetti, certezze, sogni lasciandoci in cambio malattia, sconforto, solitudine, rabbia; mettendoci spesso a dura prova, uno contro l’altro, nella lotta per la sopravvivenza.

Il tutto, ovviamente, condito da governi impreparati a gestire tale situazione, ma ancor di più, sordi nell’ascoltare chi invece è calato nella realtà di tutti i giorni, ciechi nell’imparare da chi l’ha gestita meglio e l’epidemia l’ha superata in tempi brevi, con efficacia.

Molta propaganda e speculazione nel nome di una guerra silenziosa, che non ti lascia neanche vedere il tuo caro nei suoi ultimi momenti di vita, null’altro. 

La verità in tasca non ce l’ha nessuno in situazioni di tale portata ma, un accanimento così feroce verso il nostro settore non trova ancora ragione.

La trama grottesca, purtroppo, è che alla fine siamo sempre e solo numeri.

Ed è proprio sui numeri che tutto ciò si basa, il contagio ha delle fasce orarie ben precise, il virus circola in dei luoghi ben precisi. Dunque fare o non fare l’asporto? Essere o non essere in balia del delivery? I bar sono come i ristoranti, autogrill si, mense si , ristoranti no ma anche si solo per chi entra con partita iva, chiese si teatri no, ristoranti solo a pranzo, oppure solo all’esterno anche quelli che accettano le partita iva e prima mangiavano dentro. Virologi contro chi vuole aprire, vincono i politici che la sparano più grossa, rivolta dei ristoratori, il governo tiene la linea dura e il coprifuoco alle 22; i ristoratori, il mondo dello spettacolo, palestre, piscine ne hanno le palle piene, ma forse un po’ tutti perché è emerso, ancor di più, la grande farsa di chi dice di essere capace a governarci. Ha mostrato il vero volto di quanto la politica sia distaccata e disinteressata del popolo, delle partite iva, di chi paga le tasse, generando le più grandi contraddizioni e paradossi in così breve tempo che il nostro settore abbia mai visto.

Inulte piangersi addosso però possiamo tranquillamente dirlo che mai la ristorazione e il settore turistico alberghiero assieme a quello dello spettacolo e culturale sono stati così tanto umiliati.

Sacrificati nel nome della salute collettiva e spogliati della nostra dignità basata sul lavoro. 

Non c’è mai stato rispetto, lo si è visto.

Dai vari ministeri non si è mai convocato un colloquio con le massime rappresentanze dei settori per rimarcare che tali settori generano un volano economico non solo all’utente finale, ma a tutta la filiera annessa. Per cercare di capire come intervenire con dei protocolli attuabili e rigidi nel rispetto della salute dei clienti e degli operatori, per comprendere meglio, anche se dovrebbe essere sott’inteso,  che il settore enogastronomico, agroalimentare e turistico ricettivo sono il vero indotto economico, sociale e culturale che ci rende grandi e unici nel mondo. 

È la nostra miniera d’oro.

Tutto lasciato al caso, alla provvidenza. quella provvidenza che lascerà fallire 150 mila aziende.


Tratto da Feva | 2011-2021 – Nicola Dinato

(Coming Soon)

Photo credit: Daniele Macca #ilrumoredelsilenzio